di Michele Grillo
Gli economisti hanno guardato spesso a Teoria dei Sentimenti Morali per cogliere le radici della propria disciplina, la cui nascita è convenzionalmente ricondotta a Ricchezza delle Nazioni, che Smith diede alle stampe quindici anni dopo la pubblicazione di Teoria dei Sentimenti Morali. Oggi tuttavia ampia parte degli sviluppi della teoria economica, intercorsi nei duecentocinquanta anni che ci separano da Ricchezza delle Nazioni, sono ritenuti in generale comprensibili e apprezzabili indipendentemente dai raccordi con le radici di filosofia morale che, nella formazione del pensiero di Adam Smith, legano in modo cruciale le due opere.
La nuova edizione di Teoria dei Sentimenti Morali induce a distaccarsi dall’opinione richiamata. In particolare, l’introduzione di Bonfiglioli sollecita l’interprete attento al dibattito di teoria economica degli ultimi decenni del XX secolo a non trascurare il sentiero lungo il quale la riflessione di Adam Smith era stata ancorata a una tenace connessione tra domande fondamentali di filosofia morale e domande di cui iniziava a farsi carico, come economia politica, la nuova disciplina2.
Nell’ottica del comportamento razionale in un contesto strategico, è frequente rappresentare il modello ‘hobbesiano’ di stato di natura ricorrendo a un gioco elementare di dilemma del prigioniero. L’individuo che interagisce con altri soggetti identifica una strategia per lui ‘dominante’, dal punto di vista del comportamento razionale, in un atteggiamento ostile nei confronti degli altri individui. Quale il comportamento di qualsiasi altro soggetto, le conseguenze di un comportamento ostile sono infatti sistematicamente associate, per ciascun soggetto, a situazioni sociali per lui preferibili. In questo quadro, evitare che una ‘guerra di tutti contro tutti’ porti, come esito dell’interagire sociale, alla distruzione della società, richiede che ciascun individuo alieni prerogative della propria natura, rinunciando alle proprie passioni e al dominio sul proprio comportamento, per delegarne il controllo a un Leviatano.
La prospettiva ‘humeana’ si contrappone a questa visione ‘hobbesiana’. Elemento essenziale della filosofia morale scozzese è l’idea che relazioni sociali armoniose possano essere compiutamente affidate al dominio di ciascun individuo sul proprio comportamento. A tal fine, i filosofi morali di scuola scozzese fanno leva, in particolare, sulla consapevolezza che le relazioni sociali sono, per ciascun soggetto, una fonte di ‘esperienza’ che, a sua volta, funge ‘sistematicamente’ da guida all’azione. Con il “senno di poi” della teoria dei giochi, la contrapposizione tra visione ‘hobbesiana’ e visione ‘humeana’ è stata ricostruita interpretando le relazioni tra soggetti sociali come ‘ripetizioni’ di un gioco elementare di dilemma del prigioniero. La possibilità di ripetere il gioco permette di evitare la guerra di tutti contro tutti perché pone ciascun soggetto nelle condizioni di lasciarsi guidare razionalmente da una ‘esperienza’ sistematica, consentendogli di condizionare un proprio comportamento non ostile all’osservazione di comportamenti non ostili da parte di altri soggetti sociali.
La nascita dell’economia politica come disciplina autonoma è in altri termini legata all’interpretazione delle relazioni economiche come istanze di un sistema armonioso di relazioni sociali in grado di garantire la conservazione della convivenza umana associata per ragioni ‘intrinseche’. Più specificamente, a fondamento dell’economia politica ci sta la combinazione di due elementi astratti, entrambi riconducibili al contributo di Adam Smith. Il primo elemento coglie una ragione essenziale della convivenza umana nei benefici che ogni individuo ottiene partecipando a un sistema di lavoro socialmente diviso. Questa è la base su cui è costruita Ricchezza delle Nazioni. Il secondo elemento è individuato nella circostanza che, per realizzare un assetto di lavoro socialmente diviso, è necessario, in premessa, che tutti i soggetti sociali possano fare affidamento sulla capacità di stabilire relazioni di scambio armoniose.
L’autore di Ricchezza delle Nazioni poteva non avvertire la necessità di giustificare esplicitamente tale premessa perché poteva presupporre implicito, per sé e per i lettori, il rinvio alle ragioni, analizzate in dettaglio in Teoria dei Sentimenti Morali, per le quali ‘esperienza’ e ‘immaginazione’ permettono ai soggetti sociali di sviluppare relazioni che fanno leva su un generale sentimento di ‘simpatia’. Così, per un verso, Teoria dei Sentimenti Morali non propone una teoria ‘economica’. Per altro verso, oggetto esplicito di Ricchezza delle Nazioni è un’analisi economica costruita sulla divisione sociale del lavoro. È però possibile assumere la divisione del lavoro come fondamento che regge l’economia politica come disciplina autonoma solo facendo leva su implicazioni essenziali derivate da Teoria dei Sentimenti Morali.
Sviluppi odierni dell’analisi economica hanno particolarmente messo a fuoco l’importanza di implicazioni analitiche che sarebbero messe in ombra dall’equivoco appena richiamato. In questa prospettiva, la nuova edizione italiana di Teoria dei Sentimenti Morali dà un rilievo vivido alla crucialità delle premesse di filosofia morale che consentono all’autore di Ricchezza delle Nazioni di assumere la divisione sociale del lavoro come nucleo della nuova disciplina economica. In un precedente contributo (Bauckneht e Bonfiglioli 2017: 2) il punto era stato già enunciato sinteticamente affermando che “per Smith, non esiste uno stato di natura astratto”. L’introduzione di Bonfiglioli richiama che Smith rifiuta “la finzione di uno stato di natura iniziale … [e] … [i]n questo senso … esamina la natura umana in termini morali” (Bonfiglioli e Felice 2024: 21). Nel resto di questa nota mi propongo di commentare in dettaglio questa enunciazione e di esplicitarne alcune implicazioni di rilievo, avvalendomi anche dell’approccio analitico messo a disposizione oggi dalla teoria dei giochi.
Il primo elemento è consolidato nella storia del pensiero economico. Per completezza del quadro, è però opportuno richiamarlo, anche perché esposto spesso con chiavi di lettura differenti. L’argomento sottostante, immediato nell’enunciato di Andrea Bauckneht e Bonfiglioli, sottolinea una incompatibilità logica e una estraneità interpretativa tra l’approccio di scuola ‘scozzese’, che l’economia politica classica ha seguito fin dalle origini per fondare la relazione economica di scambio, e l’approccio intrinsecamente dicotomico con cui il modello hobbesiano dà conto dell’insorgere delle relazioni sociali distinguendo tra uno ‘stato di natura’ e uno ‘stato civile’.
Il secondo elemento è invece molto meno scontato nella letteratura economica, nonostante sia ricostruibile analiticamente come implicazione del primo elemento. Quando, anche al fine di offrirne una prospettiva morale, si rappresentano gli ‘assetti sociali’ che scaturiscono dagli intrecci delle relazioni economiche, ciascuno di tali assetti è ‘intrinsecamente’ caratterizzato, a partire da circostanze date, da una condizione di elevata molteplicità. Oggi, la teoria dei giochi coglie in essenza questo esito mediante una proposizione analitica in base alla quale, per ogni dato insieme di contesti elementari nei quali si riflette un contrasto tra interesse individuale e interesse sociale, la ‘ripetizione’ del gioco fa emergere una molteplicità potenzialmente infinita di esiti sociali compatibili con una proprietà di ‘equilibrio sociale’. Nella prospettiva morale, tale risultato implica che, a ogni insieme di condizioni date, è possibile associare una molteplicità di profili di comportamenti dei diversi soggetti socialmente accettati e, pertanto, fonte di un agire moralmente giustificabile.
Con riferimento al secondo elemento, Teoria dei Sentimenti Morali offre diversi spunti, intrinsecamente connessi con la prospettiva di scuola scozzese, che analizzano contesti di interazione sociale dai quali è plausibile attendersi una molteplicità di esiti ‘moralmente’ ammissibili. L’introduzione di Bonfiglioli mette a fuoco questi spunti sotto due aspetti. Il primo fa riferimento alla parte V di Teoria dei Sentimenti Morali, nella quale Adam Smith argomenta che, a influire sui sentimenti di approvazione e disapprovazione morale, non sono solo elementi compiutamente interpretabili dal punto di vista dell’individuo nella sua singolarità – quali il senso del dovere, che Smith tratta nella parte III, o l’utilità, che Smith tratta nella parte IV – ma anche elementi irriducibilmente sociali, come il costume e la moda, che condizionano la maggiore o minore sympathy che una stessa azione riesce a suscitare. In secondo luogo, la prospettiva di una molteplicità di esiti sociali ‘moralmente’ ammissibili, a partire da condizioni date, è intimamente legata al ruolo dell’‘immaginazione’ come facoltà essenziale necessaria a ciascun essere umano per ‘mettersi nei panni dell’altro’, così da rappresentare le sensazioni che egli proverebbe nell’altrui situazione emotiva.
In particolare, Bonfiglioli riconduce l’immaginazione, per Smith, a due aspetti complementari: una immaginazione ‘naturale’, legata alla possibilità di concepire la ‘sensazione’ dell’altro; e una immaginazione ‘morale’ caratterizzata da un elemento inerente di razionalità che non mira a fondare il giudizio ma, piuttosto, a concepire la ‘situazione’ dell’altro, specificamente comprendendone la causa. Questo secondo aspetto apre la via, dal punto di vista logico, a un ricorso all’infinito (giacché concepire la situazione dell’altro non può prescindere dalla capacità di concepire l’altro in quanto soggetto anch’egli capace di immaginazione morale) e stabilisce una connessione immediata con gli sviluppi recenti di teoria della razionalità strategica.
La prospettiva e le implicazioni suggerite dalla riflessione sulla immaginazione in Smith richiamano infatti un risultato basilare di teoria dei giochi. Il cosiddetto Folk Theorem dei giochi non cooperativi afferma che, in tutte le circostanze nelle quali la ripetizione di un gioco consente di sfuggire a un equilibrio inefficiente di un gioco costituente (quale quello associato a un dilemma del prigioniero) facendo emergere (almeno) un equilibro di Nash che domina in senso paretiano l’equilibrio del gioco elementare, allora tutte le situazioni sociali nelle quali i giocatori ottengono ciascuno un payoff maggiore o uguale a quello che ciascuno può garantirsi nel gioco elementare sono tutte, esse stesse, equilibri di Nash del gioco ripetuto. Ogni contesto sociale nel quale l’esperienza come guida all’azione consente di superare il contrasto tra interesse individuale e interesse collettivo è compatibile, pertanto, con una molteplicità di esiti interpretabili come equilibri nel senso di Nash.
Questo risultato analitico ha una immediata implicazione morale legata all’assiomatica della nozione di equilibrio non cooperativo di Nash. Condizione necessaria per l’esistenza di un equilibrio di Nash è la ‘conoscenza comune’ di tale equilibrio da parte di tutti i soggetti agenti coinvolti. La razionalità dell’agire di ciascun individuo deve infatti fondarsi sulla circostanza che ‘tutti sanno che tutti sanno’ …, che il profilo dei comportamenti, prescritti ai diversi soggetti come comportamento ‘razionale’, induce uno specifico esito di equilibrio sociale (Johansen 1982). Ciò stabilisce un collegamento immediato tra l’assioma di conoscenza comune, da parte di tutti i soggetti, della circostanza che uno specifico esito è un equilibrio e il giudizio di accettazione sociale e, di conseguenza, di approvazione morale associato all’adesione, da parte di ciascun soggetto, al comportamento convenuto.
Il risultato analitico enunciato dal Folk Theorem ha però anche una seconda caratteristica rilevante nella prospettiva di analisi economica: la ripetizione di un gioco elementare, caratterizzato da un equilibrio inefficiente (nel senso di Pareto), apre la via, a partire da condizioni date, a un insieme di equilibri sociali che non includono solo situazioni sociali efficienti nel senso di Pareto, ma anche situazioni sociali che restano comunque, in vario modo, inefficienti (la situazione sociale che si ottiene ripetendo l’equilibrio del gioco costituente è essa stessa equilibrio del gioco ripetuto). In una prospettiva morale, non abbiamo perciò ragione di attenderci (alla luce di un’analisi di razionalità) che l’accettazione sociale condivisa di un determinato profilo di comportamenti implichi una proprietà di efficienza nel senso di Pareto dell’esito atteso.
Si pongono, in particolare, a favore di un’interpretazione ‘sistematica’ piuttosto che a favore di un’interpretazione ‘causale’ le riflessioni sulla “concezione smithiana del selvaggio”. Il tema, richiamato brevemente nell’introduzione, è sviluppato più diffusamente in Bauckneht e Bonfiglioli (2017) combinando la lettura della parte V di Teoria dei Sentimenti Morali con l’analisi sul carattere della virtù individuale dell’autocontrollo svolta nella successiva parte VI, con l’obiettivo di mettere in evidenza come il giudizio morale è legato al modo in cui gli esseri umani esprimono le proprie emozioni sulla base di una determinata relazione con se stessi in un contesto storico dato.
L’argomento sullo stato morale del selvaggio ha implicazioni particolarmente rilevanti dal punto di vista dell’analisi economica, giacché fa leva sulla circostanza che, per il selvaggio, l’insufficienza di risorse materiali è condizione di una condotta morale cui non è estranea la dissimulazione; la quale però, a sua volta, ostacola la fiducia reciproca necessaria al pieno sviluppo di un sentimento sociale di simpatia. Con il senno di poi della teoria dei giochi, il ‘sistema’ identifica condizioni dalle quali emerge un equilibrio sociale che, per un verso, è associato a un determinato profilo di comportamenti socialmente accettati e moralmente giustificati ma che, per altro verso, è decisamente caratterizzato, nella prospettiva economica, da una condizione che implica il mantenimento dell’inefficienza delle risorse materiali e, perciò, di una inefficienza nel senso di Pareto.
In conclusione, e più in generale, l’intreccio tra le premesse di filosofia morale sviluppate in Teoria dei Sentimenti Morali e l’analisi economica che coglie la fonte della Ricchezza delle Nazioni nella divisione sociale del lavoro suggerisce di rappresentare l’affermarsi di un sistema di relazioni di ‘mercato’ in Adam Smith non come l’esito determinato in modo univoco da una successione ‘causale’ di eventi storici, ma solamente come ‘un’ esito – tra una molteplicità di esiti possibili e che per tale ragione non può essere pensato come definitivamente consolidato – nel quale la maggiore ricchezza resa possibile dalla divisione sociale del lavoro deve essere interpretata ‘sistematicamente’ sia come ‘motore’ sia, al contempo, come ‘effetto’ di un sentimento sociale di simpatia sul quale si regge l’assetto delle relazioni economiche di scambio.
Riferimenti bibliografici
Bauckneht A. e R. Bonfiglioli (2017). “La concezione smithiana del selvaggio. Un’indagine tra filosofia della storia e teoria morale”, Philosophy, 15 (1): 1-8.
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Johansen L. (1982). “On the Status of the Nash Type of Noncooperative Equilibrium in Economic Theory”, Scandinavian Journal of Economics, 84: 421-441.
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Note
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