John Maynard Keynes, l’economista più influente del XX secolo, indicava nell’incertezza e nella difficoltà di rappresentarla una delle questioni cruciali affrontate dal suo lavoro fondamentale, La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.
Nel difendere la Teoria generale dai suoi critici, in un saggio del 1937 inteso a riassumerne le idee fondamentali, Keynes ricordava che in un sistema economico l’occupazione dipende dal livello del prodotto nazionale, e il livello del prodotto dipende in primo luogo dall’investimento. Tuttavia, le decisioni di investimento sono fortemente influenzate dalle aspettative sulle prospettive di rendimento futuro, che per sua natura è incerto in quanto potenzialmente condizionato da eventi imponderabili. Per questo, sosteneva Keynes, una corretta analisi teorica dei comportamenti economici dipende dalla capacità di considerare esplicitamente l’incertezza associata a questi eventi, questione che la teoria ‘classica’ – come egli considerava tutta la teoria economica a lui precedente – aveva trascurato.
Questo tema teorico è costantemente riportato alla nostra attenzione dagli avvenimenti quotidiani: quanto più gli eventi che provocano incertezza sono pervasivi, tanto più si rende necessaria un’analisi dei loro effetti. Il mondo che ci circonda è sempre più condizionato da crisi finanziarie con riflessi dirompenti sull’economia reale, mentre gli effetti del cambiamento del clima gravano su interi settori di attività economica in modo difficile da prevedere. Per non parlare delle conseguenze di pandemie che si riteneva di poter arginare e di guerre che si sperava non più possibili se non in ristretti contesti locali. Non solo fra ‘esperti’, ma nel dibattito economico, politico e sociale in generale l’incertezza è argomento principale di discussione.
Quando si discute di incertezza un’importante questione preliminare è quanto gli eventi che la caratterizzano possano essere ricondotti a situazioni ‘rischiose’ o meno. In economia è consolidata una distinzione fra rischio e incertezza, secondo uno schema introdotto da Frank Knight nel volume Rischio, incertezza e profitto, del 1921. Per Knight, vi sono eventi per i quali è possibile individuare un gruppo di casi analoghi e quindi derivare una probabilità della realizzazione di ogni evento appartenente a quel gruppo, come nella statistica frequentista. Ma vi sono situazioni caratterizzate dal fatto di essere sostanzialmente uniche – come quando si valutano i proventi futuri di una nuova attività imprenditoriale – per cui ci si deve accontentare al più della formulazione di generiche stime, non esistendo vere e proprie probabilità.
Vi sono chiare assonanze fra gli esempi che Keynes usava per caratterizzare l’incertezza − la prospettiva di una guerra in Europa, il prezzo del rame e il saggio di interesse fra vent’anni, l’obsolescenza di una nuova invenzione − e la distinzione proposta da Knight fra rischio ‘misurabile’ attraverso la probabilità e incertezza ‘non misurabile’. L’incertezza che caratterizza gli eventi dei quali, secondo Keynes, “semplicemente noi non sappiamo” è associata all’impossibilità di attribuire ad essi una probabilità ‘calcolabile’: più ci si allontana da situazioni rappresentabili probabilisticamente − come il gioco della roulette o l’estrazione per il rimborso anticipato di un titolo governativo − più Keynes si riferiva a fenomeni incerti alla Knight. Quindi è possibile identificare un unico filone di ricerca legato alle analisi di questi due autori, sebbene tradizionalmente gli economisti parlino di incertezza ‘knightiana’.
Peraltro, Keynes è anche autore di un vero e proprio trattato sulla probabilità (Keynes 1921), scritto prima della Teoria generale, dove sosteneva che è necessario provare ad analizzare in termini probabilistici anche quelle situazioni dove non vi è la possibilità di usare una probabilità dedotta dalla frequenza con cui i fenomeni si manifestano. L’obietto di Keynes era di cercare di razionalizzare la probabilità come proprietà del ragionamento degli individui. Partendo dalle idee di Keynes sulla probabilità si può dare un contenuto specifico alla nozione di incertezza usata poi nella Teoria generale, fino al punto di identificare una specifica incertezza ‘keynesiana’, non completamente coincidente con quella ‘knightiana’.
Eppure, esaminando la storia dell’economia politica recente – che vede una scienza economica sempre più formalizzata, con l’ambizione di essere più scienza esatta che scienza sociale – emerge che la distinzione fra rischio e incertezza è stata sostanzialmente banalizzata, se non addirittura negata. In realtà, mentre Keynes riaffermava l’importanza della distinzione, alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso una nuova generazione di economisti matematici prendeva spunto dal volume Teoria dei giochi e del comportamento economico di John von Neumann e Oskar Morgenstern per delineare una trattazione dell’incertezza secondo canoni che, all’interno della teoria dei giochi, essi avevano definito per analizzare il rischio.
Con von Neumann e Morgenstern si ha la giustificazione in modo formalmente preciso dell’uso della massimizzazione dell’utilità ‘attesa’ come canone di scelta razionale, ove le utilità legate alle possibili conseguenze di una decisione sono ponderate con le probabilità con cui ci si attende che queste conseguenze si realizzino. Con la dimostrazione da loro fornita – un teorema matematico che stabilisce come equivalenti, per prendere decisioni, la razionalità definita attraverso pochi assiomi e l’uso di una funzione di utilità attesa – il criterio della massimizzazione dell’utilità attesa diviene universalmente accettato anche al di fuori delle scelte con conseguenze certe. Accettato fino al punto da essere generalizzato oltre il contesto originario: sebbene pensata per situazioni di rischio, la funzione dell’utilità attesa viene presto utilizzata per analizzare le scelte in situazioni di incertezza, sulla base di una specifica visione soggettiva della probabilità.
L’ipotesi che la probabilità soggettiva, quella propria degli individui piuttosto che del mondo in sé – quindi con caratteristiche simili alla probabilità immaginata da Keynes – possa essere sempre misurata numericamente emerge proprio da una lettura critica del lavoro di Keynes. Per Frank Ramsey – che di Keynes era giovane collaboratore negli anni in cui venne pubblicato il Trattato – fare riferimento al ragionamento ordinario per identificare la probabilità di un evento incerto doveva necessariamente implicare che dalle azioni si possano dedurre le probabilità che le hanno giustificate. Ne consegue che – come sostenuto autonomamente nei primi anni Trenta anche da Bruno de Finetti – anche in situazioni nelle quali sembra che si ragioni su non meglio definiti gradi di credenza, dal modo in cui i soggetti scommettono sugli eventi si possono in realtà dedurre con precisione le probabilità di chi prende le decisioni.
Da questa idea della probabilità soggettiva parte un percorso che potremmo definire di normalizzazione della teoria della scelta razionale, percorso che si conclude negli anni Cinquanta con l’elaborazione degli spunti forniti da Ramsey e de Finetti da parte di Leonard Savage. Nel volume I fondamenti della statistica, Savage presenta in forma assiomatizzata le condizioni per le quali ciò che von Neumann e Morgenstern avevano dimostrato per le situazioni di rischio vale anche per le situazioni di incertezza. Da allora questa diventa l’impostazione dominante, e la maggior parte degli studi economici tratterà l’incertezza come fosse rischio.
Se si vuole ricostruire il significato della nozione di incertezza, come si cerca di fare nel volume L’incertezza in economia, ci si deve riferire perciò anche alle motivazioni sottostanti la negazione dell’importanza dell’incertezza in senso keynesiano. In realtà, le teorie economiche dell’incertezza si muovono fra due estremi. Da un lato, vi è l’enfasi posta dal più importante economista del secolo scorso sugli effetti dirompenti dell’incertezza per gli esiti, anche aggregati, delle scelte individuali; un’enfasi che prende spunto dalla sua problematica rappresentazione in un contesto probabilistico. Con approccio tipico da economista politico, Keynes suggeriva l’uso di modelli per rappresentare l’incertezza, ma ne delimitava i confini, e comunque chiariva che gli aspetti che sfuggono a una rappresentazione matematica stretta non possono essere espunti dal ragionamento economico. Dall’altro lato, facendo affidamento su un insieme di tecniche ben definito, si è consolidata fra gli economisti teorici l’ambizione di poter delineare una scienza economica in grado di prescrivere in modo preciso quali dovrebbero essere i comportamenti degli agenti in ogni situazione, anche quelle più incerte. Anche per l’analisi di scelte che sono condizionate da eventi in gran parte non ripetibili né assimilabili ad altri – quindi scelte caratterizzate da incertezza piuttosto che da rischio secondo la definizione di Knight – si utilizza un contesto decisionale tipico della razionalità economica stretta, basato su vincoli di coerenza fra le scelte che l’agente economico compie. Gli agenti economici razionali agiscono come se una probabilità precisa possa essere attribuita ad ogni possibile evento, per quanto incerto.
Lo scontro fra queste due visioni è paradigmatico ancora oggi in economia. Sul modo di trattare l’incertezza, ancora più che su tutta una serie di altri temi, si dividono gli economisti. Una maggioranza di ‘scienziati economici’ intende l’economia come una disciplina scientifica formalizzata in grado di dare risposte univoche in ogni contesto, a volte anche con carattere predittivo, basandosi sull’idea che la teoria della scelta razionale è compiuta e necessita solo di essere adattata alle diverse applicazioni, inclusi i contesti dove la conoscenza è incerta. La fiducia nella capacità dei modelli dei mercati finanziari di poter dare un prezzo ad ogni possibile tipo di rischio, come nella teoria dei mercati efficienti, ne è un chiaro esempio.
A questa visione dominante si contrappone un gruppo di ‘economisti politici’ – meno rilevante quantitativamente, ma non per questo meno importante – che nega che gli sviluppi della teoria della scelta razionale consentano la riduzione di ogni tipo di incertezza al rischio probabilistico. Sulla base dell’insegnamento di Knight e Keynes, quelli che potremmo chiamare gli economisti dell’irriducibilità (dell’incertezza al rischio) sostengono una razionalità intesa in senso ampio, per distinguerla dalla razionalità ‘ristretta’ della teoria dominante. Seguendo in particolare Keynes, questi autori non necessariamente obiettano alla costruzione di modelli che precisino i confini dell’analisi e le relazioni fra le variabili utilizzate, ma rifiutano quello che sembra un eccesso di semplificazione, specialmente se l’oggetto di analisi è complesso, come lo sono tutte le situazioni dove l’incertezza è rilevante.
Una storia delle idee e delle teorie economiche che mette in primo piano il tema dell’incertezza può essere quindi utile a caratterizzare le origini e il significato più profondo di una dicotomia fra modi di analisi che è ancora oggi rilevante in economia. Il modo di rappresentarla e gli strumenti per affrontarla hanno una storia che condiziona le risposte che cerchiamo oggi davanti a fenomeni di grande rilevanza.
Keynes J.M. (1921). A Treatise on Probability, London, MacMillan.
Knight F.H. (1921). Risk, uncertainty and profit, Boston-New York, Houghton Mifflin Company.
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