di Pier Francesco Asso, Sebastiano Nerozzi, Sara Selmi
Parsimonia, filantropia, prudenza, utilità pubblica. Il sistema delle casse di risparmio che si sviluppò nell’Italia centro-settentrionale dopo la restaurazione post-napoleonica ebbe una comune fonte di ispirazione nell’anteporre la piena realizzazione di questi valori alla ricerca del profitto, dell’interesse, del reddito. Il circuito delle casse di risparmio nacque, infatti, in alternativa a quello rappresentato dalle tipiche ditte bancarie e, ancor di più, dei grandi istituti di credito commerciale e mobiliare. Piccole e grandi banche, spesso fondate con l’intervento di capitalisti stranieri, che avevano il compito di esercitare funzioni di intermediazione e di impiego dei risparmi per sostenere lo sviluppo dei commerci, delle produzioni artigianali, delle prime forme di investimento ad alta intensità di capitale. Lo scopo fondamentale delle casse era, invece, favorire la raccolta del risparmio anche negli strati più modesti della popolazione, proteggerne la conservazione nel tempo, sostenere prudentemente forme di prestito a lunga scadenza per rafforzare i patrimoni delle grandi proprietà agricole e fondiarie, riversare sui territori i frutti dei guadagni maturati con le attività di impiego e di investimento.
In Italia, molto più che altrove, l’affermazione e la diffusione delle casse di risparmio fu tumultuosa, capillare, coinvolgente. A partire dal 1822, quando si ebbe a Venezia la fondazione della prima Cassa, il loro numero aumentò rapidamente in Veneto, Piemonte, Lombardia, Emilia e Toscana, fino ad arrivare a superare i 180 istituti negli anni immediatamente successivi all’unificazione del Paese. Altrettanto intensa fu la capacità mostrata dalle casse di attrarre e fidelizzare ampi strati della popolazione, disposta ad affidare e, spesso, a vincolare nel tempo i propri risparmi negli strumenti di deposito che i nuovi istituti potevano offrire, in conformità ai loro statuti. Basti pensare che la maggiore di esse, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, scalò rapidamente i vertici del sistema bancario nazionale, divenendo, all’indomani dell’Unità d’Italia, il primo istituto di credito del Paese per dimensioni del proprio bilancio, subito dopo la Banca Nazionale nel Regno d’Italia, la maggiore banca di emissione, nucleo della futura Banca d’Italia.
È stato osservato da Luigi De Rosa che, storicamente, diversi furono i ceti sociali, i gruppi di interesse, le istituzioni civili e religiose che favorirono l’affermazione delle casse: fra di essi emergevano i rappresentanti illuminati della nobiltà locale, le società formate dalla nuova borghesia, i Monti di pietà, le municipalità, alcune congreghe; così come diversi furono i modelli operativi che attecchirono nei diversi contesti territoriali: le casse, contrariamente alle banche, sorsero anche in molti centri minori, del tutto immuni dai venti del progresso, dell’industrializzazione, del radicamento urbano, con lo scopo di promuovere il risparmio e i servizi bancari anche fra coloro che vivevano in zone di campagna e di montagna.
Seppure i due mondi, quello delle casse e delle banche, restarono a lungo separati e non comunicanti, non mancarono importanti punti di contatto che li accomunarono sin dalla loro istituzione. Il primo e più ingombrante era rappresentato dalla presenza del ‘sovrano’ e, ancor di più, di coloro che ai diversi livelli territoriali esercitavano i pubblici poteri: sovente, i ceti politici locali e nazionali trovarono sia nelle casse che nelle banche una rilevante fonte di liquidità, capace di assorbire quote rilevanti dei titoli pubblici emessi dai governi come fonte di finanza straordinaria, strumenti sempre più disancorati dai valori effettivi della ricchezza pubblica tradizionalmente rappresentati dall’oro e dall’argento. Il secondo tratto comune a casse e banche era rappresentato dal basso livello di regolamentazione, ma anche di concorrenza e di trasparenza, con cui furono legalmente definite ed economicamente protette le delicate funzioni che esse erano chiamate a svolgere. Nella storia e nell’età contemporanea, entrambi questi aspetti hanno spesso interagito con effetti dirompenti sulle condizioni fondamentali del risparmio e del credito e sui presupposti della crescita economica e del benessere della popolazione, quali la fiducia, la reputazione, la credibilità, l’efficace trasmissione delle informazioni.
La Cassa di Risparmio di Pistoia (dal 1935, Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia) partecipò sin dalla fine degli anni Venti dell’Ottocento all’affermazione delle casse di risparmio in Toscana, acquisendo ben presto dimensioni importanti, spesso superiori alle sue consorelle regionali e alle stesse potenzialità economiche e imprenditoriali del proprio territorio di riferimento. Questo libro ne racconta la storia dal 1831 al 1992, privilegiando, in particolare, tre direttrici, tre grandi temi di ricerca e di approfondimento che continuamente si intrecciano all’interno dei confini cronologici con cui abbiamo inteso suddividere i diversi capitoli.
In primo luogo, abbiamo illustrato la storia di un’azienda: le ragioni che portarono alla sua fondazione; l’evoluzione delle strategie che, progressivamente, ne trasformarono la natura, ne arricchirono le funzioni, ne diversificarono l’operatività; l’andamento delle principali grandezze rappresentative della propria attività di raccolta, di impiego, di prestazione di servizi; le fonti della redditività e di formazione degli utili. Un aspetto importante di questa storia aziendale, che abbiamo cercato di verificare lungo tutto il nostro percorso di ricerca, riguarda quanto la Cassa si sia indebolita o, al contrario, rafforzata in occasione degli shock esterni (guerre, grandi crisi, dissesti finanziari o produttivi) che, periodicamente, colpirono il quadro macroeconomico o la stabilità politica del Paese o, più specificamente, vennero a turbare l’esercizio del credito e l’intermediazione bancaria. Spesso prevalse, come ad esempio nella crisi bancaria del 1893 o in quella del 1921-1922, la forza anticiclica del modello cassa di risparmio, che proprio nei momenti più acuti di instabilità monetaria e finanziaria vide accrescere la fiducia del pubblico dei risparmiatori, che la identificarono in una vera e propria istituzione-rifugio, capace di tenersi prudentemente al riparo dagli scandali e dagli eccessi speculativi. In altri momenti, al contrario, come ad esempio a seguito della grande crisi bancaria del 1931-1933, la Cassa subì il drammatico svolgimento degli eventi, non riuscendo a difendere la propria autonomia operativa o a definire linee di intervento in grado di attutire l’impatto delle perdite sulla propria gestione.
In secondo luogo, abbiamo dedicato particolare attenzione al ruolo svolto dalla Cassa nel perseguimento del pubblico interesse. Una missione, questa, che la Cassa ha esercitato sin dalla fondazione, con modalità e sembianze di volta in volta diverse: dal fondamentale sostegno finanziario allo Stato nelle fasi delle grandi emergenze nazionali al supporto dato ai bilanci di enti locali, ospedali e unità sanitarie territoriali; alla capacità di garantire forme di credito di ultima istanza per attenuare crisi locali e intervenire nelle operazioni di salvataggio di banche minori che rischiavano di distruggere il risparmio, diffondere allarme e panico, compromettere la fiducia e la stabilità; agli interventi effettuati per alleviare calamità nazionali e piaghe sociali, quali la povertà, l’analfabetismo, l’emarginazione, le sofferenze di chi si trovava in stato di abbandono o di forzata migrazione.
In terzo luogo, abbiamo cercato di mostrare come sia cambiato nel tempo il rapporto fra la Cassa e la città di Pistoia, fra la Cassa e il territorio che, progressivamente e non senza traumi, si era esteso alla Valdinievole, alle aree interne della montagna pistoiese, alle zone collinari meno densamente popolate. Abbiamo, cioè, cercato di valorizzare quanto prodotto dalla Cassa a sostegno dello sviluppo locale e dell’economia reale; quanto realizzato per modernizzare il circondario con opere pubbliche, infrastrutture, servizi collettivi; quanto fatto per soddisfare la crescente domanda di bisogni primari, che tanto influiscono sulla qualità della vita e ai quali il mercato non sempre è in grado di rispondere in condizioni di efficienza ed equità: l’edilizia residenziale, la salute pubblica, l’istruzione di base, la formazione scientifica e professionale, la valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio artistico. Abbiamo, infine, cercato di raccontare le relazioni e le controversie che si svilupparono, nelle varie fasi della sua storia, fra le principali forze politiche, le classi dirigenti, i vertici della Cassa, la compagine societaria. Le casse di risparmio, come è evidente anche nella storia gemella delle casse di Pistoia e di Pescia, furono infatti luogo privilegiato di coagulo, di selezione e di formazione delle classi dirigenti locali: dal Risorgimento all’età liberale, dal fascismo alla Repubblica, le posizioni ai vertici della Cassa furono tra le più ambite ed eminenti cui i ceti nobiliari, borghesi e poi politici locali potevano aspirare, sovente ricoperte dalle stesse personalità che detenevano ruoli apicali nelle istituzioni cittadine, nei partiti, nei consigli comunali e, in alcuni casi, anche in Parlamento.
Questi tre diversi ambiti della nostra ricerca – l’andamento dell’azienda, il perseguimento del pubblico interesse, i rapporti con la città, il territorio, le classi dirigenti – ci hanno fornito, crediamo, elementi interessanti e originali sia per la conoscenza della storia economica di Pistoia e della Valdinievole sia, anche, per eventi che travalicano i confini della storia locale e favoriscono la comprensione di grandi questioni che hanno attraversato la politica economica e bancaria del nostro paese. Ci limitiamo qui a ricordare tre aspetti generali, rinviando il lettore ai singoli capitoli.
Un primo tema riguarda la lunga strada che Pistoia ha percorso per accompagnare la trasformazione della Cassa in una vera e propria banca a sostegno dello sviluppo dell’economia e delle sue attività produttive. Sin dalla fondazione, infatti, la Cassa si affermò per la solidità dei suoi bilanci e la grande prudenza della gestione, ma anche per un atteggiamento tendenzialmente conservativo e poco propenso ad ampliare gli strumenti di impiego e di investimento, in linea, appunto, con la propria natura di cassa. Un primo passaggio fondamentale per costruire e definire una più moderna identità di istituto di credito fu la lunga battaglia che la Cassa di Pistoia e quella di Pescia intrapresero per conquistare l’autonomia da Firenze: la Cassa fiorentina, infatti, le aveva a lungo relegate in una posizione subordinata, legandole a doppio filo al magro destino delle trasformazioni immobiliari di «Firenze capitale» e rendendole incapaci di esercitare efficacemente la propria opera di trasformazione del risparmio in impieghi a vantaggio delle attività economiche locali. Un ulteriore salto di qualità si verificò in età giolittiana, quando i venti della crescita e dell’industrializzazione che attraversarono soprattutto le regioni nord-occidentali del paese fecero sentire i loro effetti anche a Pistoia e a Pescia. È in questa fase che le due casse acquisirono, per la prima volta nella loro storia, un vero e proprio esprit commercial, intraprendendo con forza e continuità le classiche operazioni bancarie destinate a finanziare attività produttive e utilizzando metodi gestionali più elastici e diversificati. Le loro operazioni cominciarono dunque a indirizzarsi anche a favore dell’economia reale, per sostenere una base crescente di artigiani e di imprese – generalmente piccole ma anche, in alcuni casi, di grandi dimensioni – e, soprattutto, per finanziare un’estesa compagine di agricoltori e proprietari terrieri bisognosi di credito per accrescere le proprie vocazioni imprenditoriali e valorizzare i propri vantaggi competitivi. Frequentemente, lungo gran parte della nostra storia, le due casse dovettero scontare non pochi svantaggi iniziali rispetto alle filiali delle grandi banche che operavano nelle città di Pistoia e di Pescia, e di alcune piccole, ma aggressive, banche locali, arrivando in ritardo a intercettare la domanda di credito commerciale nel proprio territorio di riferimento. Ritardo che la cassa pistoiese riuscirà almeno in parte a colmare soprattutto nel secondo dopoguerra, quando, per la prima volta, si ebbero a Pistoia cambiamenti importanti nei vertici, con l’affermazione di rappresentanti dei ceti imprenditoriali accanto a quelli delle grandi famiglie nobiliari che avevano a lungo dominato i destini della Cassa. Ne derivò un crescente inserimento dell’istituto in settori dinamici quali il florovivaismo, l’artigianato di qualità, la meccanica leggera, il turismo, le imprese di trasporto e quelle orientate ai mercati internazionali. Una strada che a Pescia era stata, in realtà, già battuta all’inizio del secolo, visto il carattere più spiccatamente imprenditoriale delle famiglie nobiliari pesciatine, già attive dal XIX secolo nelle produzioni industriali di carte, sete e pellami.
Un secondo aspetto si sofferma sulle relazioni fra la Cassa e i poteri pubblici. I due canali principali riguardarono l’ingente contributo fornito dalla Cassa al finanziamento del debito pubblico e la partecipazione alla grande stagione dei salvataggi bancari. Sul primo fronte, soprattutto nel corso delle due guerre mondiali ma anche nella fase di rallentamento successivo alla fine del miracolo economico, la Cassa scelse di destinare ingenti risorse a garanzia della sottoscrizione di titoli pubblici. Fu questa una scelta consapevole ma sofferta; una scelta non sempre frutto di convinzioni tecnicamente maturate al proprio interno e sicuramente assai poco redditizia. Ciononostante, la Cassa (ma, in generale, il sistema casse) fu protagonista assoluta nell’assorbire, per conto proprio e della clientela, i grandi prestiti nazionali emessi in occasione della Grande guerra, con particolare evidenza soprattutto nel tragico biennio 1917-1918; fu parte integrante del cosiddetto circuito dei capitali, orchestrato dalla Banca d’Italia nel 1941-1943 per minimizzare l’impatto inflazionistico della spesa militare; fece incetta di titoli emessi dallo Stato e dai grandi istituti di credito speciale negli anni Sessanta per sostenere il ciclo degli investimenti pluriennali in agricoltura, energia e grandi opere infrastrutturali, che erano stati messi a repentaglio dal rallentamento successivo alla crisi del 1963 e dal successivo deterioramento del quadro macroeconomico. Sul secondo fronte, negli anni Trenta la Cassa fu protagonista di una serie importante di operazioni di salvataggi bancari che interessarono soprattutto la Valdinievole e che culminarono nel traumatico e controverso assorbimento della consorella di Pescia. In quest’ultimo caso, le perdite subite da Pistoia, per la svalutazione del portafoglio titoli e per la copertura delle perdite e delle immobilizzazioni ereditate da Pescia e dagli altri istituti insolventi, furono ingenti: esse arrivarono a mettere a rischio la sicurezza dei conti, la tenuta del rapporto fiduciario che legava la Cassa a una massa ormai ingente di famiglie risparmiatrici e, non ultimo, la sua stessa sopravvivenza. Pistoia affrontò questa emergenza con spirito di servizio ma anche cercando di resistere, per quanto possibile, alle pressanti pretese provenienti dalle autorità locali e nazionali che sollecitarono in vario modo il suo intervento. Il suo superamento comportò energiche operazioni di rimodulazione degli impieghi e, nel caso del salvataggio di Pescia, la presenza di una rete salvifica di investitori esterni e di operazioni di finanza straordinaria approntate dall’Istituto di categoria delle casse di risparmio e dalla fattiva opera di due commissari appositamente nominati dalla Banca d’Italia.
In terzo luogo, nel cercare di individuare alcuni punti di svolta utili per raccontare la storia della Cassa, abbiamo dato ampio spazio al ruolo della beneficenza. Anche in questo caso un passaggio fondamentale è rappresentato dalla conquista dell’autonomia da Firenze, che simbolicamente finì quasi per coincidere con il primo intervento di disciplina e di riforma organica delle casse di risparmio. Infatti, a partire dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, la Cassa riuscì a inaugurare una lunga fase di erogazioni annuali che si riversarono a beneficio del territorio e che contribuirono a integrare quanto fatto sul fronte della raccolta e dell’esercizio del credito, ma anche sul fronte di ciò che abitualmente oggi si definisce ‘l’educazione finanziaria’ delle grandi masse popolari. Almeno inizialmente, la Cassa di Pistoia scelse di investire su di sé, sulla propria immagine, sulla capacità di diventare un vero e proprio punto di riferimento di una intera comunità. Lo fece percorrendo una lunga strada che portò alla costruzione di una nuova e prestigiosa sede che, dopo oltre dieci anni di progetti e tentativi rivisti e rinviati, avrebbe arricchito e abbellito le vie centrali della città; ma lo fece anche attraverso l’apertura, in età giolittiana, di alcune agenzie che cominciarono a operare in territori marginali e privi di assistenza bancaria. Dipendenze che rappresentarono a lungo una fonte di aggravio di costi e di perdite di bilancio, ma che la Cassa difese strenuamente nei confronti delle autorità ministeriali, in quanto fornitrici di servizi di pubblico interesse e capaci di alimentare la formazione di un nuovo ceto di lavoratori specializzati in funzioni impiegatizie. Diverse furono le scelte attuate dalla Cassa di Pescia, la quale, conquistata l’autonomia, decise di concentrare gran parte degli utili devoluti a beneficenza per la costituzione di un ‘Ricovero di mendicità’ destinato a sostenere alcune categorie di poveri “meritevoli di soccorso”.
Naturalmente, a partire dal boom di inizio secolo e con ritmi crescenti nei decenni successivi, le erogazioni della Cassa si indirizzarono soprattutto a favore di opere esterne. Rimandiamo i lettori interessati alla lettura dei paragrafi e delle evidenze statistiche riprodotte nei vari capitoli. Qui basta solo ricordare quanto fatto dalla Cassa nelle due principali direzioni che la videro impegnata: la crescita del benessere sociale e delle diverse tipologie di assistenza a favore della popolazione meno abbiente; la promozione di cultura e di istruzione. Sotto il primo aspetto, la Cassa indirizzò importanti flussi di denaro a favore dei più bisognosi, degli ospizi, degli orfanotrofi. Ingenti furono, soprattutto negli anni fra le due guerre, le risorse a fondo perduto che vennero destinate al mantenimento, alla ricostruzione e allo sviluppo dell’Ospedale del Ceppo e poi anche dell’Ospedale di Pescia. Sotto il secondo aspetto, con originalità, la Cassa intervenne per salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale, religioso e artistico della città; al tempo stesso, privilegiò l’affermazione dell’istruzione professionale nei diversi ambiti della tecnica industriale, dell’agricoltura, della cultura musicale e teatrale, cercando in vario modo di favorire la crescita delle conoscenze e delle competenze della popolazione più giovane a sostegno di progetti volti a promuovere la mobilità sociale e la specializzazione. Meno riuscito fu il tentativo di legare il proprio nome alla dotazione di opere pubbliche simboliche che avrebbero arricchito i servizi pubblici, quali la linea tramviaria (sull’esempio di quanto la Cassa di Pescia aveva realizzato in Valdinievole) e la colonia marina di Calambrone.
Naturalmente gli sviluppi più imponenti, sia sul piano aziendale e organizzativo che su quello della raccolta del risparmio e del finanziamento del territorio, si ebbero dopo il 1935, con l’assorbimento della Cassa di Pescia: per molti decenni, dalla metà degli anni Trenta fino agli anni Ottanta, la Cassa di Pistoia e Pescia si trovò a intermediare una quota prossima al 50% dei risparmi raccolti nella nuova provincia di Pistoia, creata nel 1927 dalla fusione amministrativa dei territori di Pistoia e della Valdinievole. Questa centralità all’interno di un territorio circoscritto, di un mercato finanziario poco diversificato e non ancora pienamente integrato a livello nazionale, le consentì, in molte fasi, non solo di godere di una posizione di indiscusso primato sulle altre banche, ma di influenzare in modo decisivo le condizioni creditizie, lo sviluppo dei circuiti di pagamento e l’offerta di servizi finanziari alla clientela, con riflessi importanti per l’economia locale e per l’avvicinamento di una crescente platea di cittadini e operatori al mondo bancario e finanziario.
Nel secondo dopoguerra, grazie anche alla sua capillare rete di filiali, la Cassa di Pistoia e Pescia fu protagonista di una costante ascesa in termini di raccolta dei depositi e dei crediti forniti al territorio, intermediando una quota maggioritaria dei crediti a medio e lungo termine erogati dagli istituti speciali per gli investimenti produttivi in campo agricolo e industriale. La Cassa riuscì non solo a intercettare flussi crescenti di credito agevolato con i contributi decisi ed erogati a livello nazionale, ma anche a creare originali alleanze con gli enti, le categorie e le associazioni imprenditoriali del territorio per la fornitura, secondo varie forme tecniche, di agevolazioni creditizie ad un tessuto produttivo, artigianale e turistico allora in grande fermento.
In un territorio animato da una pluralità di specializzazioni e attraversato, già nella seconda metà degli anni Cinquanta, da un rapido processo di sviluppo, la Cassa cercò sempre più di intercettare le esigenze finanziarie dei ceti produttivi locali con ripetuti tentativi, non sempre pienamente riusciti, di affermarsi nell’attività più tipicamente bancaria del credito commerciale. Ecco che nell’immediato dopoguerra, all’inizio degli anni Sessanta e poi, con sempre maggiore successo, negli anni Settanta e Ottanta la Cassa riuscì ad inserirsi efficacemente nei segmenti più evoluti del credito e dei servizi alle imprese, con importanti proiezioni nell’interscambio con l’estero, nel leasing e nei servizi finanziari. Tale processo di modernizzazione, centrato sull’adozione di procedure sempre più automatizzate e su una progressiva estensione di autonomia alla fitta rete di filiali, comportò ingenti investimenti sia di natura tecnica e immobiliare sia nella formazione del personale.
Limitati rimasero, invece, i rapporti con le imprese locali di dimensione medio-grande, prevalentemente orientate a rivolgersi verso i grandi gruppi bancari nazionali; anche in questi casi fu, tuttavia, significativa la capacità della Cassa, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, di aprire sportelli bancari interni alle maggiori aziende del territorio. Molto importante fu, almeno fino agli anni Settanta, il sostegno agli enti locali, con crediti ipotecari e chirografari, anticipazioni e servizi di Cassa svolti per l’amministrazione provinciale e per decine di Comuni, enti ospedalieri e sanitari, consorzi, enti morali, ma anche a supporto di crisi aziendali che, in anni caratterizzati da vasti cambiamenti strutturali, stavano investendo i settori più tradizionali o maggiormente esposti alla concorrenza internazionale.
A partire dagli anni Settanta, il volto della Cassa iniziò a mutare, rivelando una crescente volontà e capacità di curare, animare e interpretare il territorio non solo nelle sue dinamiche economiche, ma anche sotto il profilo artistico, storico e culturale: ecco che la Cassa divenne protagonista di una serie sempre più densa di iniziative e di interventi per la riqualificazione del patrimonio artistico e monumentale; la raccolta e la valorizzazione delle opere di artisti, letterati e pittori del territorio, con una spiccata predilezione per l’arte contemporanea; la pubblicazione di volumi e di riviste capaci di portare alla luce e divulgare aspetti rilevanti della storia, dell’arte, dell’economia, della letteratura, delle tradizioni popolari.
Una vocazione a servizio della crescita culturale e civile che la Cassa di Pistoia e Pescia ha riconosciuto come frutto maturo di un percorso plurisecolare, ponendola al cuore della propria identità e consegnandola come preziosa eredità da conservare e custodire per il futuro.
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